Considerazioni etiche in relazione all’introduzione delle nuove tecnologie e tecniche chirurgiche. Lezioni dal passato.

Introduzione al Second International Workshop on Natural Orifice Surgery

Milano, 7 febbraio 2009, Ospedale Niguarda Ca’ Granda

Credo che questo incontro possa rappresentare per noi una grande opportunità per osservare quali siano gli effettivi risultati finora ottenuti in questo nuovo campo emergente in termini di tecnologia e di tecniche chirurgiche.
Spero che possiamo trovare delle risposte ad alcune delle domande che abbiamo oggi riguardo al fatto che la Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery (N.O.T.E.S.) realmente rappresenti il prossimo passo nel campo della chirurgia mini-invasiva.
La possibilità di ridurre la lunghezza dell’incisione da 1 cm a mezzo cm o di ridurre il numero di trocars al fine di apportare un vantaggio clinico al paziente è sicuramente di grande importanza.
Questo problema insorge ogni volta che ci troviamo di fronte all’introduzione di una nuova tecnologia.
Tuttavia è mia opinione – ed entriamo così nello specifico della mia presentazione – che prima di ciò dobbiamo sempre chiederci quale sia lo scopo nell’introduzione di nuove tecnologie in campo medico.
E’ obiettivamente importante il fatto che non abbiamo mai, prima d’ora, assistito all’immissione di così tante nuove tecnologie in campo medico: le fibre ottiche, che ci permettono di esplorare le parti più profonde del corpo umano; tutti i tipi di tecnologia d’immagine che ci consentono visualizzazioni in vivo fino al livello cellulare; i pace makers; le valvole artificiali; interi organi artificiali; la tecnologia più rilevante che è in grado di interferire con gli aspetti più segreti dell’essere umano, quella dell’ingegneria genetica.
Abbiamo la grande percezione che tutta questa tecnologia abbia trasformato l’essere umano nel pianeta più vicino e nella frontiera più remota da esplorare.
Qual è il problema con la tecnologia, quindi?
La tecnologia è un aspetto intrinseco all’essere umano e rappresenta una delle forme più alte di espressione e responsabilità. Quando ci chiediamo se una tecnologia particolare debba essere utilizzata, dovremmo innanzitutto chiederci se e come possa recare beneficio ai pazienti.
Coloro che sono impegnati nella ricerca per determinare tutto ciò che può essere fatto nella lotta contro la malattia devono anche far procedere il dibattito circa cosa debba essere fatto in tale
lotta: questi due compiti oggi tendono molto spesso ad essere separati.
La ricerca scientifica ha dimostrato in diverse situazioni che i suoi risultati possono essere utilizzati per produrre effetti positivi, come per esempio lo screening e il trattamento molecolare del cancro attraverso la conoscenza del DNA.

Tuttavia la clonazione dei mammiferi, fino a quella degli esseri umani, può condurre ad un disastro.
La tecnologie e le conquiste della ricerca fondamentalmente coincidono, ma l’uso dei risultati comporta implicazioni ed effetti diversi per l’uomo.
Una possibile deviazione della tecnologia consiste nell’identificazione del suo scopo con il miglioramento dello strumento in quanto tale.
La tecnologia in sé diventerà l’unico scopo e produrrà un suo proprio sistema di valori e di obiettivi completamente staccati da quella che è la domanda su come tutta questa tecnologia possa essere utile all’uomo.
Vorrei citare Alexis Carrel, premio Nobel, chirurgo e biologo francese, che diceva:
“L’uomo non può essere diviso in parti. Dobbiamo assolutamente considerare un uomo in tutti i suoi aspetti. I risultati degli sforzi specifici degli specialisti richiedono innanzitutto una sintesi prima di essere applicati all’uomo”.
Tale questione è resa più complicata dall’attuale separazione in medicina tra abilità tecnica ed educazione ad istanze più filantropiche.
Oggi i medici sono addestrati come tecnici e non sono abituati ad affrontare temi di carattere etico: le capacità tecniche non sono assolutamente un aspetto negativo; tuttavia queste devono essere coniugate con una grande comprensione delle istanze etiche .
In pieno accordo con Hans Jonas, vorrei affermare che: “Abbiamo paura di una prospettiva nichilista che applica il massimo potere alla minima conoscenza degli obiettivi”.
A questo punto si pone quella che è la domanda fondamentale circa la nostra posizione rispetto al paziente: “Che cos’è l’uomo di cui ti prendi cura?” “Chi è l’altro uomo di cui ci stiamo prendendo cura?”
Questa domanda topica rende chiaro che la prima fondamentale questione è la responsabilità del medico nei confronti del paziente; le abilità tecniche verranno successivamente. Essa implica inoltre che l’uso di determinati trattamenti dovrebbe dipendere fondamentalmente dalla esigenza della nostra responsabilità nei confronti degli altri esseri umani.
Se cerchiamo di separare le due cose, le nostre risposte alle domande relative all’uso della tecnologia non saranno adeguate ai problemi che ci troveremo ad affrontare.
Oggi esiste una separazione tra le dimensioni personale, professionale, sociale, così che l’ideale di bene si identifica con un generale modello di rispetto di regole, che finisce per non considerare le istanze reali e profonde di ogni individuo.
Sorge allora sempre di più la necessità di focalizzare nuovamente l’ attività medica, al fine di considerare il paziente come un essere nella sua totalità; perciò parliamo sempre di più della necessità di umanizzare la medicina.
Lo sforzo di curare il paziente dalle sue malattie non deve mai dimenticare l’aspetto importante di considerare tutte le sue umane aspettative.
Secondo questa prospettiva un aspetto fondamentale è la fiducia reciproca tra paziente e medico.
Un’alleanza tra i due soggetti è necessaria; cosicché, partendo dal reciproco rispetto, si possano stabilire obiettivi realistici da seguire e la definizione di piani terapeutici, nei quali si tengano in considerazione le scelte dei pazienti da una parte e dall’altra la competenza del medico, la sua responsabilità, le condizioni in cui opera.

Il concetto di alleanza è la chiave che cambia l’orizzonte anche del professionista.
Per il bene del paziente il medico dovrebbe essere spinto in qualsiasi momento a riconoscere i propri limiti ed a cercare il sostegno dei colleghi nel prendere decisioni nell’ambito di un approccio multidisciplinare.
Questo comportamento consentirà di controllare la tentazione di considerare il paziente come un terreno di prova, in cui poi scoprire magari i propri limiti.
I limiti devono condurre alla ricerca della collaborazione e quindi al rispetto, in qualsiasi caso o situazione, della gerarchia di valori che implica l’alleanza tra i soggetti coinvolti.
Occorre da una parte evitare il rischio di pensare che ogni cosa sia già stata scoperta e che sia inutile ricercare altri miglioramenti tecnologici; dall’altra è necessario non correre il rischio di molti pionieri nella storia della medicina di essere attaccati dai propri stessi colleghi. E’ questo il caso per esempio di Eric Muhe, il chirurgo tedesco che per primo ha sperimentato la colecistectomia laparoscopica nel 1986.
In conclusione è necessario mantenere una posizione mentale aperta, che permetta di accogliere gli sviluppi tecnologici della ricerca per le migliori soluzioni terapeutiche per i pazienti. Occorre tuttavia considerare che, indipendentemente dai risultati della ricerca medica, questi non cancelleranno mai completamente la sofferenza dalla vita dell’uomo; vi sono altre dimensioni che entrano in gioco e la realtà – oltre i suoi limiti – ha un punto di riferimento diverso.